LO SVEZZAMENTO… NON ESISTE!

Molti neo-genitori vivono il tema dello svezzamento con ansia e incertezza.

Quand’è il momento giusto per introdurre il cibo? Quando l’allattamento deve cessare? Come si fa a togliere al bambino l’abitudine di attaccarsi al seno? Quando arriva il momento in cui il seno diventa “un vizio”? Cosa succede ai bambini che prendono il seno troppo a lungo?

In questo post parlo solo di allattamento al seno, ma dedicherò prossimamente un post all’allattamento con biberon. 

Da dove viene l’idea che tra i quattro e i sei mesi sia indispensabile introdurre i cibi solidi, cominciando con banana, mela, carota, patata, zucchina e crema istantanea di tapioca, per proseguire secondo una tabella di marcia che definisce quantità, modalità di preparazione, successione e tempistiche per l’introduzione di ogni cibo nuovo? E soprattutto, chi ha deciso che dopo i sei mesi l’allattamento al seno deve cessare, e perché? 

Credevamo di avere tra le braccia nostro figlio, l’amore della nostra vita… abbiamo forse messo al mondo un inquietante Gremlin uscito da un tragicomico horror anni ’80 per trasformarsi (o trasformarci) in un mostro se trasgrediamo le regole sulla sua alimentazione?

Anche se l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che dovrebbe rappresentare e guidare la comunità scientifica, ha riconosciuto il valore dell’allattamento al seno prolungato e ha smentito molte precedenti convinzioni sullo svezzamento, troppe persone e perfino troppi professionisti sanitari perseverano con un atteggiamento rigido riguardo allo svezzamento.

Facciamo un passo indietro e vediamo come siamo arrivate fin qui. 

Sembra ovvio che la spinta a svezzare i bambini il prima possibile ha a che fare con la necessità per le madri di tornare al lavoro dopo il periodo di maternità.

Le donne, badate bene, hanno sempre lavorato, fin dall’alba dei tempi. L’agricoltura, il commercio, l’artigianato, l’ostetricia, la sartoria e molti altri ambiti professionali sono sempre stati frequentati dalle donne diffusamente, non solo dalle rarissime figure eccezionali che oggi consideriamo pioniere: il mito dell’angelo del focolare dedito solo alla perfetta pulizia della casa e alla preparazione di manicaretti in funzione del rientro del patriarca non è che una favoletta borghese poco più che centenaria. 

Con l’avvento delle fabbriche prima e del settore terziario poi, però, la vera novità è una gestione del tempo definita e schematizzata rigidamente, una divisione di ruoli, categorie e compiti nettamente incasellata. Le donne (come del resto gli uomini) smettono di essere padrone, oltre che degli strumenti e dei frutti del loro lavoro, anche e soprattutto del loro tempo e della creatività che consentiva loro di conciliare lavoro e cura dei bambini. Tutto ciò plasma non solo lo stile di vita, ma anche gli atteggiamenti mentali delle persone. 

Due secoli di industrializzazione ci hanno abituate a sottostare a tabelle di marcia rigidamente prescritte dall’esterno e ad un atteggiamento mentale improntato alla categorizzazione, alla settorializzazione e alla divisione netta di ruoli, tempi, passaggi, fasi.

Si è andato riducendo lo spazio a disposizione per le sfumature, le incertezze, i tentativi.

L’imperativo della produttività ci ha fatto disimparare che difficoltà, rallentamenti, ritorni e aggiustamenti fanno parte del gioco. 

L’epoca del progresso ci ha illuse di poter controllare tutto e ci ha rese incapaci di relazionarci con l’ignoto, generando intorno ad esso ansie, paure e rifiuto anziché curiosità e accettazione.

Il moltiplicarsi di opportunità, possibilità, scelte e alternative che ha reso le nostre vite libere, interessanti e ricche come mai prima d’ora ci ha anche rese insicure e bisognose dei punti di riferimento che abbiamo perso con lo sfaldamento delle comunità rurali, degli stili di vita tradizionali e delle famiglie allargate.

Finora non è stato possibile, perlomeno in Italia, apportare sostanziali modifiche agli altri addendi della somma: il ruolo del padre e il mondo del lavoro. Pertanto, non abbiamo avuto scelta che fletterci, farci fluide e fare le acrobazie per adattarci a ogni situazione, come abbiamo sempre fatto.

Passare dal latte al cibo a quattro mesi, come raccomandavano i pediatri pochi decenni fa, sembrava l’unica soluzione, e sapendo che è dannoso perché troppo precoce, i pediatri si sono ingegnati per renderlo il meno dannoso possibile: di qui l’ossessione per misurini, pappette e brodini, nonché la paranoica prudenza nell’introduzione di nuovi cibi, accortezze quasi del tutto inutili quando si rispettano i tempi di maturazione del bambino, o almeno quando si approfitti dello slancio di clemenza generale che negli ultimi decenni innalzerebbe a sei mesi la data di scadenza delle nostre tette, e ad un anno le colonne d’Ercole oltre le quali la compresenza di alimentazione solida e allattamento diventerebbe un assoluto abominio. 

L’allattamento al seno in questo quadro risultava quasi un problema, un intoppo di cui era indispensabile liberarsi al momento prestabilito (da qualcun altro). Una volta soddisfatto in altro modo l’ovvio bisogno di alimentazione, i bisogni di legame e di intimità anch’essi parte dell’allattamento perdevano legittimità in quanto ostacoli all’indipendenza… di chi? E da che cosa?

Per rendere questo compromesso più accettabile, ecco farsi strada nei discorsi dei professionisti e nell’immaginario collettivo l’idea squisitamente proiettiva che il distacco dal seno allo scoccare dei tot mesi sia nell’interesse del bambino, per liberarlo da un “vizio”: un vizio, forse, che lo renderebbe difforme dal buon cittadino industrializzato, il vizio, forse, di disporre del proprio prezioso tempo, di gestire creativamente i passaggi della vita, di dare la priorità alle persone sulla produttività, di non accontentarsi dell’”emancipazione” (termine che implica sempre la normatività di uno squilibrio di potere) ma pretendere la libertà?

La buona notizia è che, se andiamo a ripulire lo svezzamento da tutte queste sovrastrutture, lo vediamo per quello che è: un mero costrutto sociale, culturale, storico, antropologico proprio dell’Occidente moderno e post-moderno. Se arriviamo al cuore della cosa, alla natura, lo svezzamento… non esiste. E con esso non esistono le ansie, le forzature, le aspettative, le date di scadenza, i sensi di colpa e i conflitti che sembravano destinate ad accompagnarlo.

Molte madri che hanno avuto il privilegio (perché questo è diventato) di vivere un allattamento di successo, in seguito non ricordano con esattezza quando e come il bimbo abbia smesso di prendere il seno, tanto il passaggio è stato lento, sfumato, graduale, sereno, quasi inavvertito. Sì, c’è stato quel periodo in cui chiedeva il seno solo al momento di addormentarsi, poi ha preso a chiederlo solo qualche sera e non altre, finché a un certo punto non l’ha più chiesto e nessuno poteva sapere quale sera sarebbe stata l’ultima.

Altri bambini chiedono un distacco netto, da un giorno all’altro, e il difficile compito della mamma è accettarlo senza sentirsene rifiutata e senza ostacolarlo, magari per un proprio bisogno di coccole, intimità o di sentirsi una buona mamma: bisogni del tutto legittimi, che però non vanno confusi con quello del bambino e troveranno nuove forme di soddisfazione. 

Il bambino può compiere questo passaggio a quattro mesi come a tre anni, e questo non rende lui e la sua mamma più o meno “bravi”.

E quando è la mamma a sentire il bisogno di porre fine all’allattamento? Qui mi viene da dire che si tratta di procedere come faceva Michelangelo, convinto che la sublime figura che avrebbe scolpito stava già dentro la pietra, e tutto ciò che lui doveva fare era scavare per togliere materiale fino a liberarla. Se eliminiamo retaggi esterni, richieste o implicite aspettative che ci arrivano dagli altri, dall’ambiente professionale o dall’immaginario collettivo, sensi di colpa dovuti a differenti immagini di noi stesse in conflitto, per rimanere sole con il nostro qui ed ora, è probabile che scopriremo che quel bisogno non era autenticamente nostro. Ma se lo è, se è davvero espressione di libertà, merita tutto il rispetto del mondo. 

Quanto all’introduzione del cibo, anche qui ansie, forzature, delusioni, fallimenti e frustrazione scompaiono come per magia se recuperiamo la fiducia nel bambino e nella natura.

Il bambino che riesce senza difficoltà a stare seduto e ha iniziato a mettere i primi denti manifesterà interesse per il cibo dei genitori in modo davvero inequivocabile: eccolo il momento giusto, eccola la guida infallibile che cercavamo in pediatri, libri, incontri informativi e webinar.

Questo è nella nostra natura.

Letture per approfondire:

Io mi svezzo da solo – Lucio Piermarini

Chi ha cucinato l’ultima cena? – Rosalind Miles

Condividi: