Psicodramma e affini: 8 pregiudizi spiegati e sfatati

Nell’immaginario collettivo l’idea di andare dallo psicologo è ancora fortemente legata a quella di sedersi nello studio del professionista e parlare, in un dialogo che a volte l’utente rischia di percepire, più o meno erroneamente, come un monologo.
Metodi terapeutici alternativi, in particolare di gruppo, sono ancora poco conosciuti e quindi possono essere oggetto di preconcetti scoraggianti, soprattutto in contesti di provincia come quello in cui lavoro io. Vediamo i pregiudizi più comuni, cercherò di sfatarli per far conoscere meglio, a chi lo desidera, potenti possibilità di cura e trasformazione.

E’ già abbastanza imbarazzante parlare dei fatti miei con un terapeuta, figuriamoci se ne parlo davanti a un gruppo di persone!
E se invece parlare in un gruppo terapeutico fosse per molti versi più facile che parlare ad un terapeuta?
Per prima cosa, non devi immaginarti un gruppo numeroso quanto il pubblico di un teatro. Il numero ottimale di partecipanti a un gruppo terapeutico di anima-in-azione solitamente è compreso fra le 4 e le 10 persone. Numeri anche molto più elevati si possono raggiungere in sessioni aperte, seminari e altri contesti che si avvicinano più a una dimensione di sperimentazione, avvicinamento o formazione che di terapia vera e propria.
Non è però tanto il numero a doverti rassicurare, quanto il clima e lo spirito che si instaura nel gruppo. I membri di un gruppo hanno tutti storie diverse, ma sono accomunati dall’avere un bisogno e un obiettivo, dall’essere in ricerca di qualcosa, e c’è totale parità.
Allo stesso modo in cui ti vergogneresti ad andare in giro in mutande per la strada ma lo fai tutte le settimane nello spogliatoio della palestra, quel senso di “essere tutti nella stessa barca” ridimensiona le reticenze e abbatte il senso di incomunicabilità che nell’era dei social, dei like e dei followers avvolge il dolore, la sofferenza e la vulnerabilità in un alone di tabù.
Se a volte un terapeuta può essere visto con soggezione e dare un’impressione di distanza e superiorità, questo non succede in un gruppo dove si è tutti lì per mettersi in gioco e lavorare su di sé. Tornerò su questo punto tra poco.

Fare scenette, muoversi in modi strani, addirittura “giocare” come dicono gli psicodrammatisti… e questa sarebbe terapia? Un po’ di serietà per favore!

La nostra società occidentale negli ultimi sei secoli ha raggiunto traguardi senza precedenti nel campo della scienza e della tecnologia, e tutto grazie alla logica, alla razionalità, all’intelletto. Per lungo tempo questo ha significato, nella cultura e nell’immaginario collettivo, relegare il sentimento, l’emotività, l’arte e tutta la sfera “irrazionale” della natura umana a un ruolo di secondo piano, quando non ad una posizione di rifiuto e svalutazione. Negli ultimi 50-60 anni è rifiorito l’interesse per valori quali la spontaneità, la libertà espressiva, la creatività, l’istintualità.

Per lungo tempo la nostra società ha creduto che per diventare adulta dovesse smettere di essere bambina, e ci ha cresciuti con questo imperativo. Ma il nostro bambino interiore rimane in realtà dentro di noi, come il nocciolo di un frutto, e attraverso lo psicodramma possiamo fare ciò che va fatto per guarire le sue ferite: incontrarlo, dialogarci, lasciare che il nostro adulto interiore se ne prenda cura. Così come i bambini giocando e disegnando comunicano e apprendono per la vita, allo stesso modo il gioco psicodrammatico è un esercizio di libertà, di auto-guarigione, di cambiamento.
Fare, agire concretamente, sperimentare, uscire dalla propria prospettiva abituale sono strumenti di auto-comprensione e di trasformazione più potenti e più rapidi della sola parola.

Non posso fare psicodramma perché non so recitare
Ed ecco che scatta la solita ansia da prestazione. In realtà, nulla è più lontano dall’essenza di queste metodologie, improntate alla spontaneità e all’autenticità. Non siamo qui, dunque, per recitare o danzare o disegnare bene, ma per utilizzare queste discipline per prenderci cura delle persone e attivare processi trasformativi. Il gruppo non è un pubblico, ma una “compagnia” nel senso teatrale del termine.
Quindi, se da una parte una certa sicurezza nella disciplina è consigliabile per i terapeuti che conducono l’attività, essa non è affatto necessaria per fruirne.

E se qualunque battuta durante un gioco psicodrammatico ti esce in tono completamente piatto, se quando parte la musica durante un esercizio di riscaldamento il tuo corpo diventa un blocco di marmo, se quando ti trovi al centro del cerchio non sai cosa dire, significa semplicemente che un canale di espressione, vitalità, comunicazione e creatività è bloccato da un nodo problematico. La sua progressiva riapertura sarà allo stesso tempo strumento ed effetto di un proficuo lavoro di trasformazione di questa sofferenza.

Sentimento, voce e movimento torneranno in seduta così come nella vita.

Non mi fido di queste cose “New Age”.
Qui banalizzerò per esigenze di brevità e semplicità, ma la psicologia e il movimento New Age hanno poca o nessuna attinenza tra loro, contrariamente a quanto si potrebbe pensare osservando la tipica vicinanza tra i due argomenti nella disposizione dei prodotti in molte librerie. Se da un lato è vero che alcune pratiche psicoterapeutiche si avvicinano alla meditazione, e che la spiritualità ha o dovrebbe avere nella psicologia lo stesso diritto di cittadinanza di qualsiasi altra sfera dell’essere umano, dall’altro lato associare la psicologia all’astrologia, al paranormale, all’esoterismo, allo sciamanesimo e simili è indebito e fuorviante: per quanto queste discipline possano essere per alcuni interessanti e affascinanti, non appartengono al campo della psicologia.
E’ sempre importante anche verificare le qualifiche e la formazione di chi vi propone un qualsiasi percorso di cura, trasformazione e crescita personale. Un viaggio sciamanico, una costellazione familiare o un bagno di gong possono essere esperienze meravigliose condotte da professionisti assolutamente affidabili nel loro campo, ma vanno approcciati, come del resto la stessa psicoterapia, con consapevolezza e aspettative adeguate.

Ma quindi ogni volta che prendo la parola devo dire come mi chiamo e tutti mi devono salutare?
Tendenzialmente no. Questa consuetudine, motivata e fondata su specifici ragionamenti terapeutici, è propria solo di una ristretta tipologia di contesti, legati soprattutto alla cura delle dipendenze e ai servizi psichiatrici, ma è di gran lunga meno diffusa di quanto si potrebbe pensare.

Mi sembra tutto così forzato. E se quando viene il mio turno non ho niente da dire? E se non me la sento di fare ciò che viene proposto?
Non dobbiamo dimenticare che la parola d’ordine è spontaneità. In un gruppo di anima-in-azione, ad esempio, è vero che tutti sono incoraggiati a partecipare, che la potenza del metodo spinge verso realizzazioni di tale intensità da lasciare increduli dopo averle vissute e che l’espressione e la condivisione sono l’essenza dell’incontro. Tuttavia, è importante ricordare che nessuno sarà mai obbligato dal terapeuta o dal gruppo a fare o dire qualcosa che non vuole, né ad intervenire attivamente quando non se la sente. Il rispetto dei tempi e delle sensibilità di ognuno è prioritario.
Inoltre, solitamente non vige alcuna regola basata su turni di parola strutturati rigidamente, a parte ovviamente quella del buon senso universale che richiede di non interrompere o sovrastare chi sta parlando. La sicurezza che non verrai mai forzat* a esprimere qualcosa che non senti significa anche poter essere cert* che ogni azione e ogni parola ha il valore della sincerità.

Una terapia di gruppo ti dà poco perché devi dividere l’attenzione del terapeuta con tutti gli altri.
Chiunque faccia un’esperienza di gruppo impara ben presto a vedere gli altri partecipanti, anziché come aspiranti in competizione per l’attenzione del terapeuta, come specchi che riflettono e amplificano la luce nella stanza, donando un senso di contenimento, di ascolto e di comprensione.
A differenza del terapeuta, i compagni di gruppo ti rendono continuamente partecipi dei loro problemi, delle loro fatiche e anche delle loro vittorie, e ciò che raccontano spesso è molto simile alla tua esperienza, si dissolve così il senso di solitudine e incomunicabilità che spesso si accompagna alla sofferenza.
Il contributo di ogni membro del gruppo è unico, ma allo stesso tempo entra in profonda risonanza con i vissuti degli altri partecipanti.
In tal modo, anche se in un dato momento non sei tu il protagonista del gioco psicodrammatico, questo non significa che in quell’istante tu sia uno spettatore passivo in attesa del proprio turno. Forse ciò che si sta rappresentando ha qualche attinenza con la tua vita, o forse pur non avendo mai avuto un’esperienza analoga provi una profonda e inaspettata immedesimazione emotiva; comunque, talvolta anche solo vedere una scena giocata da altri favorisce l’elaborazione di vissuti propri e porta alla catarsi, oggi come nello spirito originario del teatro di 2.500 anni fa, secondo le intuizioni centenarie di Moreno come dalle recenti scoperte scientifiche sui neuroni-specchio.
Per alcuni versi una terapia di gruppo dà di più, e non di meno di una individuale.

Le terapie di gruppo sono un ripiego per chi non può permettersi economicamente quella individuale.
E’ vero che una seduta di gruppo è meno costosa di una individuale, e la differenza diventa ancora più evidente se si pensa ad esempio che spesso una sessione di psicodramma dura due ore ed è condotta da due terapeuti.
Questo dato di fatto però, alla luce di quanto detto finora, non deve far pensare che la terapia di gruppo sia in qualche modo inferiore, e nemmeno superiore alla terapia individuale. Sono semplicemente due approcci molto differenti, entrambi validi ed efficaci, entrambi ricchi di pro e contro che variano ampiamente da persona a persona. Idealmente ognuno di noi dovrebbe poter scegliere l’uno o l’altro soltanto in base al proprio sentire, ma la maggiore accessibilità economica della terapia di gruppo è senz’altro un passo importante verso una società in cui prendersi cura di sé non è un lusso per pochi, e i soldi non sono un ostacolo che allontani le persone dalla psicoterapia.

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